venerdì 6 aprile 2012

Viaggio a Fukushima a un anno dalla strage

Articolo pubblicato dal sito web www.repubblica.it
Il paese sembrava irrigidito dal trauma di un anno fa. Lo tsunami ha infranto il muro delle apparenze e tolto ai cittadini anche la forza di protestare. Lo Stato non ha fatto ciò che doveva, chi si lamenta però lo fa in silenzio. Adesso regnano ordine, civiltà e fiducia nella burocrazia. Solo i suoi giovani sono rimasti bloccati. Ma il Paese ora prova a ripartire dall'armonia. La scoperta della solidarietà del mondo intero è stata una forte consolazione. Ventimila morti 300mila sfollati: le famiglie si sono sentite abbandonate
 di TAHAR BEL JELLOUN

A UN ANNO dalla triplice catastrofe nel Nord-Est del Giappone - un terremoto seguito da uno tsunami e da un incidente nucleare - il trauma è tuttora presente e visibile, tutt'altro che esorcizzato. La solidarietà nazionale e internazionale ha costituito un elemento importante, ma non sufficiente. Nonostante l'intervento dello Stato, le famiglie sinistrate si sentono abbandonate e pensano che non si sia fatto abbastanza. Ventimila morti. E sono oltre 300.000 quelli che non ritroveranno mai più le loro case. Una catastrofe immensa. Ma fin dal 1995 il terremoto di Hanshin, presso Kobé, aveva scosso il mito della sicurezza nipponica.
È in quest'atmosfera tetra che sono atterrato all'aeroporto di Osaka, il 13 marzo scorso. Il Giappone è un sogno seducente, e ricorrente. Ho spesso pensato di perdermi tra la folla delle sue grandi arterie scintillanti di pubblicità multicolori. È la seconda volta che visito questo Paese. La prima risale al 1996: quella volta fui contagiato da un parassita che mi attaccò i polmoni, e rischiai di morire. Ho lottato a lungo con questo brutto ricordo. In ogni caso non mangerò mai più crostacei crudi. Starò molto attento!



Al mio arrivo all'aeroporto di Osaka ho visto parecchi giapponesi muniti di mascherina. Ho pensato di dovermene procurare una per non essere contagiato da qualche virus, ma mi sono sentito dire che non ne valeva la pena. La mascherina - mi hanno spiegato - si porta quando si è malati, per non contaminare gli altri.

Dunque, un gesto di civismo!

Per prima cosa si è colpiti dalla calma che regna in questo Paese, e dalla gentilezza della gente. Sarà anche solo apparenza, ma è importante essere accolti con un sorriso. Non appena ci si trova in difficoltà, c'è qualcuno che offre il suo aiuto. La sera sono andato a cena in un ristorante nei pressi dell'albergo. All'ingresso il menu è illustrato da fotografie esposte su grandi tabelloni. Si sceglie in funzione della qualità della foto - salvo rischiare di essere poi sorpresi da quanto viene servito! Prima di entrare bisogna togliersi le scarpe e sistemarle in uno scaffale. È consentito fumare in un settore del ristorante, ma non per strada, considerata come uno spazio pubblico.
Giovedì 15 marzo Mi sono recato a Kurama, località di montagna nei pressi di Kyoto, sede di templi scintoisti e di terme naturali. Ho preso un trenino straordinariamente pulito, con i sedili riscaldati: molto confortevole. Fa freddo, ma il cielo è limpido. Alcuni giovani visitatori si inchinano davanti al tempio, battono due volte le mani per richiamare il dio di questi luoghi e pregano per qualche minuto. Curiosamente, a Kyoto i grandi negozi non aprono prima delle 11.00; poi però restano aperti fino alle 21.00. Qui non ci sono giorni di chiusura, e neppure sindacati che protestano contro l'apertura domenicale. Da una quindicina d'anni la vita dei giapponesi è trasformata dalla diffusione dei "Combini", piccoli empori aperti 24 ore su 24 dove si trova di tutto, dai cibi caldi o freddi alle bevande e agli oggetti di utilità quotidiana, come il filo per cucire o i medicinali in vendita senza ricetta. Da qui si può anche spedire un pacco, e persino pagare le tasse: insomma, un luogo dove tutto è possibile.
La sera ho cenato con il console generale di Francia, (sposato con una giapponese), e con due professori giapponesi francofoni e francofili. La conversazione ha toccato quasi subito il tema delle elezioni francesi. La stampa ne parla, ma non più di tanto. Uno dei commensali ha detto: "È un peccato: la Francia non ha più l'importanza di un tempo". Ma hanno anche notato che spesso a Parigi i giapponesi non trovano una buona accoglienza. "Da noi si vive tranquilli. Uno se ne può andare dimenticando il portafoglio sul tavolo, e ha la certezza di ritrovarlo intatto il giorno dopo. In Francia ho dimenticato la mia sciarpa in un bar e non l'ho mai più trovata. Non ci si sente sicuri, si è costretti a essere sempre diffidenti, a controllare le fatture... A lungo andare, è faticoso. Trovare un taxi a volte è una dannazione! Certi tassisti accettano i clienti solo se sono di strada. E poi vorremmo che i camerieri la smettessero di chiamarci "chintoques": comprendiamo il francese, e a volte ci tocca sentire commenti sgradevoli. Un vero peccato!".

Parliamo degli scrittori impegnati; si citano i nomi di Natsuki Ikezawa, autore di "La donna immobile", e di Haruki Murakami, che ha scritto vari bestseller su scala mondiale. Insignito del Premio di Gerusalemme il 17 febbraio 2009, ha scandalizzato gli israeliani e molti giapponesi pronunciando un discorso di condanna dell'intervento militare israeliano a Gaza, con la seguente metafora: "Se vedo un muro altissimo e solido, e un uovo che si spacca contro quel muro, non mi importa di sapere in quale misura il muro sia giustificato, o l'uovo colpevole: starò sempre dalla parte dell'uovo". Silenzio glaciale in sala. Poi, quando nel giugno 2011 ha ricevuto il premio di Catalogna, Murakami ha reso pubblica la sua posizione antinucleare. A quanto pare, oggi anche un grande scrittore come Natsuki Ikezawa milita contro il nucleare, sostenendo che i giapponesi devono conoscere la verità. Non tutto è stato rivelato alla popolazione dopo l'11 marzo 2011: permangono zone d'ombra - pur di evitare il panico!
Parliamo poi di un fenomeno recente, quello degli "hiki komori" (letteralmente: i reclusi), molto diffuso tra i giovani, che non osano affrontare la realtà e non escono più di casa. Spesso vivono inchiodati davanti al computer; a volte si trincerano dietro un muro di silenzio che i loro genitori non sanno come scalfire. Uno dei due professori mi dice: "Mio figlio esce, lavora, ma le ragazze non lo interessano - e neppure i ragazzi. Credo che non sia attratto dalla sessualità". Da una recente inchiesta apprendiamo che i giapponesi fanno l'amore con le proprie mogli una volta all'anno - anche se a volte, nel resto del tempo frequentano prostitute. Sessualità scarsa, rapporti tra i giovani dei due sessi senza conseguenze, pochi matrimoni e molti divorzi: in Giappone il numero delle nascite è in calo costante. Le autorità pensano di incentivare l'immigrazione, ma non sanno quali immigrati far venire, né come. Oggi i più numerosi sono coreani e cinesi; ma molti sono ormai integrati a tal punto che si comportano come i giapponesi: non hanno figli.

I suicidi sono 30.000 all'anno. La criminalità nel Paese non è eccessiva. La mafia agisce nei suoi limiti, e uccide quando si tenta di ostacolare i suoi affari. Ma a parte questo, la delinquenza non è visibile. Tutto va bene, tutto è tranquillo, finché un giorno un giovane esce di casa e ammazza il primo venuto. In questa società così ordinata e disciplinata, le esplosioni avvengono in maniera intermittente.

Mi è capitato di rimanere per l'intera giornata con un pezzo di carta straccia che non sapevo dove buttare. Nelle strade non si vedono cassonetti o cestini per i rifiuti. Ne chiedo il motivo: un giapponese non getta mai nulla per strada. Perciò i marciapiedi sono di una pulizia sorprendente. Secondo un amico, giornalista a Tokyo, "il Paese funziona grazie alla sua burocrazia, ma è in uno stato di instabilità permanente. In 6 anni ha avuto ben sei primi ministri! Di quando in quando qualcuno sente il bisogno di far scoppiare una crisi, tanto per risvegliare il Paese. Come ad esempio nel 1996, quando un membro della setta Oumu (oggi fuori legge) tentò di intossicare la folla nella metropolitana con un lancio di gas sarin. Suscitare il panico, seminare nel Paese il dubbio sui suoi valori: ecco gli obiettivi di questo tipo di terrorismo. Un altro giornalista mi confida: "abbiamo un complesso di superiorità nei confronti di coreani e cinesi (siamo razzisti!) - e al tempo stesso un complesso di inferiorità verso gli europei e gli americani. La popolazione invecchia; l'avvenire non è roseo ma grigio".

Altra curiosità: come si spiega la straordinaria diffusione dei quotidiani a Tokyo? L'edizione del mattino di "Yomiuri" ha una tiratura di 10 milioni di copie; quella del pomeriggio, di 4 o 5 milioni; gli altri giornali vanno dagli 8 milioni, come "Asahi", ai 6,5 come "Mainbichi", fino al meno diffuso, "Sankei", con 1,3 milioni. I lettori sono abbonati: abituati a ricevere i giornali a domicilio, li leggono prima di uscire, tra le 4 e le 6 del mattino. Certo, da quando escono anche su Internet le tirature si sono un po' ridotte - ma questo fenomeno unico al mondo è tutt'altro che in via di arretramento. I giapponesi, grandi lettori, sono anche abitudinari. Il 95% dei giornali si vendono per abbonamento.
Venerdì 16Dopo la mia conferenza all'Istituto francese di Kyoto ho pranzato con il console, sua moglie e un docente di architettura giapponese, il professor Sacko: un nero! Originario del Mali, ha incontrato sua moglie, giapponese, in Cina; con lei ha avuto due figli. Cosa assai rara, è naturalizzato giapponese. Altissimo (1 metro e 90) e corpulento, in questo Paese certo non troverà mai un vestito della sua taglia. Parla il giapponese e insegna in questa lingua. Ecco come racconta la sua storia: "Facevo parte di un gruppo di giovani del Mali inviati a studiare in Cina: là ho imparato il cinese, e ho incontrato la ragazza giapponese che oggi è mia moglie. Il problema era come presentare la cosa ai genitori di lei, i quali a loro volta dovevano giustificarsi con i vicini per il matrimonio della loro figlia con un nero: un caso senza precedenti! Credo di essere stato il primo africano a sposare una giapponese. Non è stato facile, ma ci siamo riusciti e abbiamo due bambini. All'inizio, dato che mia moglie lavorava, ho fatto venire mia madre affinché si occupasse dei piccoli. Tutto questo è estraneo alle abitudini nipponiche: qui non si vedono nonni che dedicano parte del loro tempo ai nipotini".
Sabato 17Prendo il rapido Kyoto-Tokyo, che viaggia a 300 chilometri l'ora, puntuale, pulito, tranquillo e confortevole. I treni partono ogni 10 minuti e sono sempre pieni. Tra Kyoto e Tokyo, il paesaggio è sempre lo stesso: case su case, ammassate una accanto all'altra, per più di 500 chilometri. Niente spazi verdi, niente campi, non uno spazio vuoto. Tutto stipato. Architettura orrenda. Numerosi cavi elettrici a vista. Leggo il romanzo "La cattedrale" di Natsuki Hikezawa, che incontrerò stasera per un dibattito. È la storia di tre giovani che si recano su un'isola per cuocere una pizza, subito dopo la catastrofe dell'11 marzo 2011: quei tragici avvenimenti non li scuotono dalla loro indifferenza.

Leggo poi "Su un piccolo ponte in Iraq": è il racconto di un suo viaggio in quel Paese nel 2002, poco prima dell'intervento americano e della guerra. Natsuki Hikezawa è uno scrittore noto per il suo impegno. È stato insignito del più importante premio letterario nipponico: l'equivalente del Goncourt in Francia. Nato nel 1945, è un uomo semplice, modesto, sorridente; non parla il francese, pur avendo soggiornato in Francia per cinque anni con la sua famiglia. Lo preoccupa molto la condizione dei giovani nel suo Paese: "Sono diventati indifferenti a quanto avviene nel mondo, interessati solo a se stessi. Il mondo esterno per loro non esiste. Si considerano unici, e questo è razzismo. Ciò che accade nel Sudan, in Iraq, in Medio Oriente non li riguarda. Quand'ero in Francia ho assistito a molte manifestazioni, scioperi e proteste: i francesi reagiscono, non sono disposti a subire. Qui da noi non si vede niente di simile. I giovani sono come anestetizzati, non si interessano a nulla". Parliamo della politica americana. Natsuki Hikezawa mi ricorda che il Giappone non ha fatto altro che allinearsi senza una parola allo stupido impegno Usa in Iraq. Da 60 anni i giapponesi continuano a finanziare la presenza di 25.000 soldati americani a Ikanawa. A questo punto Hikezawa si scalda: "Tra cent'anni saranno ancora qui!" Gli sottopongo l'idea di denunciare George W. Bush alla Corte penale internazionale. Mi risponde: "Anch'io chiedo da tempo che quest'uomo sia giudicato. Ha commesso troppi crimini, e non ha affatto liberato l'Iraq, che anzi è tuttora nel pieno di una guerra civile. Durante il mio soggiorno in Iraq ho visto siti già individuati dagli americani, fermamente intenzionati a bombardarli in ogni caso".


Domenica 18La domenica qui è un giorno come un altro. Tutti i negozi, grandi e piccoli, sono aperti e affollati. Vi si può trovare di tutto: sembra di essere a Pechino o a Manhattan - salvo che qui le commesse sono particolarmente sorridenti, graziose, ben vestite. E non insistono con i clienti. I prezzi non sono più alti che nelle metropoli. In un grande negozio di lusso scopro alcune borse e altri oggetti firmati Louis Vuitton - a prezzi d'occasione! La sera ceno con Nao Sawada, uno dei miei traduttori. È docente di filosofia e letteratura francese presso una grande università di Tokyo. Mi fa notare che la letteratura nipponica oggi è come bloccata: manca di audacia e di immaginazione. Parliamo del caso Murakami, che a suo parere scrive cose di facile lettura; e ciò spiega il suo grande successo. Nao preferisce i romanzi di Hikezawa, più inventivi e provocatori.
Dopo il trauma dell'11 marzo 2011 il Giappone è come irrigidito. Il lutto è immenso, ma la cosa più grave è che non se ne parla. Lo Stato non ha fatto ciò che doveva. Ma chi si lamenta lo fa in silenzio. Non si conosce l'incidenza reale della radioattività, e neppure le conseguenze sotterranee dello tsunami. Qui si dice che le catastrofi sono state quattro: il terremoto, lo tsunami, l'incidente nucleare e - quarta catastrofe - il comportamento dello Stato. Tutto ciò appare in contraddizione con l'estremo senso dell'ordine e lo spirito civico di questo Paese. Ma quando accade una disgrazia le apparenze vanno in frantumi.

Martedì 20Riparto da questo Paese con sentimenti attutiti: ammirazione per il civismo e la cortesia dei giapponesi, per il senso di sicurezza che sono riusciti a instaurare ovunque tra la gente. È un Paese ove regna l'ordine, certo sostenuto da una rigida burocrazia. Tutto funziona, ed è piacevole vivere in una società che ha eliminato lo stress, l'inciviltà e l'insicurezza. Al tempo stesso si vede bene che questa è una società bloccata, che non sa come incitare i giovani a vivere e ad attivare la propria immaginazione. Peraltro, il trauma dell'11 marzo ha avuto anche qualche effetto positivo: i giapponesi sono stati confortati dalla concreta solidarietà internazionale; hanno visto che il mondo non era indifferente alla loro disgrazia, e neppure all'armonia del loro "vivere insieme".
(Traduzione di Elisabetta Horvat)

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